Critica
Mani che cercano. Mani che salutano, che imprecano. Mani che sfiorano, che accarezzano. Che artigliano. Mani che si aprono o che serrano, dita che si intrecciano. Mani contratte. Palmi, dorsi, pugni. Mani con o senza fedi all'anulare. Mani di donne o di uomini? Dita sottili o grosse. Indelicate. Sinistre, mancine. O mani destre? Mani osservate dall'alto o di fianco. Saranno mani famose o sconosciute? Ma fa poi differenza? Mani aperte, palmi esposti come in preghiera o in segno di pace. Scambiarsi un segno di pace: è unire le mani, stringere, far passare attraverso le mani una energia buona, confortante. Ma da dove emergono? Mani di affogati prima della salvezza? Che cosa è quel fondo bianco da cui paiono venir fuori, alcune semi sommerse? Sembra una sostanza lattiginosa. Invece è sabbia. Allora - viene da pensare - sono mani di sepolti sotto la sabbia. Mani che anelano di tornare alla luce, di emergere come quando le piccole tartarughe, lasciando le uova dischiuse, si fanno largo con le loro mani/zampe per uscire dal magma confuso di sabbia e terriccio, in un brulichio di gesti convulsi, e d'istinto corrono tutte verso la loro casa naturale, l'acqua del mare. Ma le mani che l'artista Adriano Caverzasio ha voluto qui ritrarre, scolpire, immortalare, sanno - emergendo - dove andare? Che cosa fare, alla fine? Quando avranno smesso di mandare segnali al mondo, offensivi o inoffensivi, richiami, rituali, invocazioni, maledizioni, preghiere, che cosa resterà da fare? Ricongiungersi ai corpi da cui sono state recise? Coloro ai quali - nell'antichità, o forse anche oggi - si mozzavano, si mozzano, le mani in segno di punizione estrema, che cosa avranno provato? Dolore? Ma continueranno a sentire impulsi, a percepire movimenti, tremolii, gesti di ciò che è stato irrimediabilmente perduto? E come la coda tagliata delle lucertole continua a guizzare, sarà lo stesso per le mani? Le dita continueranno a gesticolare? E chi le ha perdute continuerà il perenne gesto di stringere o afferrare? Perché le mani questo fanno e sanno fare. Toccare, soprattutto. Accarezzare, a volte. Le mani hanno una memoria? Sui polpastrelli, le linee della nostra inconfondibile identità, restano impresse le tracce di ogni contatto, di ogni percezione. Ricordi del calore perduto o di tanti scomparsi dalle nostre esistenze. Qualcuno, in anni lontani, mi insegnò come stringere con forza salutando, per trasmettere energia positiva, pronti ad accogliere, a conoscere, a stringere un patto di amicizia. Allora - guardando e riguardando queste misteriose sculture, provo l'istinto di stringerle tutte le mani protese - una ad una - per capire che cosa emanano o a chi appartengono. Che cosa - ogni mano - vorrebbe comunicare? Le dita possono parlare, in assenza di voce. Non è un caso che esista, attraverso le mani, un alfabeto per i nonudenti. Tutto è possibile attraverso le mani. Nuotare ha bisogno delle mani, per dirigere il movimento del corpo in acqua. Fare l'amore ha bisogno delle mani, sempre, per accompagnare ogni singolo istante di un incontro. Le mani sanno ricordare. Hanno una memoria, le mani. È questo, allora, il senso di tutto? Questo voleva dirci l'artista?
Valentina Fortichiari - 2014