Critica

Da quando, circa quindici anni orsono, ho potuto conoscere la personalità artistica di Adriano Caverzasio, l'interesse per le sue composizioni pittoriche - termine più legittimo di quello usuale di quadri - è stato ora vivo, ora calmo, ma sempre stimolante. Soprattutto per una ricerca compositiva e un impiego materico che sembrano rinnovarsi anche la dove un tema si ripete per essere approfondito. Nella lucentezza di un primo periodo intorno agli anni ottanta o nell'asperità del periodo susseguente, ho sempre colto in Adriano una specie di poetica personale, poiché un pittore che fa vivere particolari atmosfere è sostanzialmente poeta: fosse l'ombra di una bicicletta proiettata su un muro o una silhouette femminile; una superficie dalla quale un chiodo fisicamente in rilievo secerne un rigagnolo rosso cupo o una concrezione in cui pochi tratti di spatola risultano evocatori. O graffiti o parole su un piano sgretolato oppure oggetti fissi in articolazioni ragionate. Quasi ogni giorno ho sotto gli occhi un'asse larga una quindicina di centimetri e alta quasi un metro con cinque strisce marroni su fondo grigio, firmata Adriano Caverzasio, e nella sobrietà dell'opera non è difficile captare il movimento interno e la motivazione esecutiva. E ciò mi pare tipico di quest'artista in cui, v'è da aggiungere, non sono rintracciabili indirizzi pittorici consacrati. Eppure Adriano è uno dei più sicuri osservatori d'arte contemporanea che mi è dato conoscere, un appassionato delle correnti del secolo, dal dinamismo di Boccioni alle tecniche di Burri e Tàpies o all'astrattismo pop di Rauschenberg. La conoscenza di tutto il novecento gli si rivela incentivo soltanto a più seri sviluppi personali. Il MURO, la PARETE, pastosi e densi, paradigmatici della sua più recentequalità artistica, sono momenti in cui l'intelletualismo del gesto s'attenua per una forte presenza individuale e umana così che molta sua opera spesso mi appare quasi riverbero di un modo d'intendere la vita.

 

Sergio Marzorati - 1994